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Gaza Interviste

Non chiedetemi cosa potete fare per noi a Gaza!

di Asem Alnabih

Da Electronic Intifada

16 giugno 2025

Rima Hassan, deputata franco -palestinese al Parlamento europeo, insieme a Baptiste André e Reva Seifert Viard, il 12 giugno. Tutti e tre erano passeggeri sulla nave Madleen e rapiti dai commando israeliani in acque internazionali mentre tentavano di rompere l’assedio di Gaza all’inizio del mese di giugno.

Durante una conversazione recente, un amico da fuori Gaza mi ha posto una domanda sincera, nata dal suo desiderio di aiutare Gaza e la sua gente: “Cosa possiamo fare per Gaza?”

Questa domanda – “cosa possiamo fare?” – è stata posta fin dall’inizio dell’occupazione della Palestina, ricorre da decenni ed è diventata ancora più pressante da quando Israele inpose il blocco di Gaza quasi 18 anni fa. E mentre oggi a Gaza il genocidio continua, il mondo si confronta con questa domanda con una nuova, esistenziale urgenza.

Stavo per dare la risposta scontata che diamo sempre, ovvero che la Palestina è la causa di ogni persona libera al mondo e che ognuno deve fare qualcosa. La preghiera è l’ultima delle cose; la gente dovrebbe continuare a parlare della Palestina, diffondere consapevolezza, offrire supporto finanziario e mediatico, e così via.

E sebbene questa risposta rimanga valida, la verità è che la domanda del mio amico era rivolta alla persona sbagliata. Devono essere proprio coloro che subiscono il genocidio a dire a chi è fuori come comportarsi? Dobbiamo prenderci un’ora o due di pausa dallo sterminio per fare brainstorming e aiutare i nostri amici fuori Gaza a capire cosa fare per fermare le uccisioni, la fame e la distruzione a cui siamo sottoposti ogni minuto?

Non è abbastanza

Molte persone stanno compiendo enormi sforzi per Gaza in molti settori. Ma se consideriamo lo sforzo cumulativo e il suo impatto nel fermare il genocidio e la fame, è chiaro che non è stato sufficiente a fermare Israele.

Oltre 600 giorni dopo il sette ottobre continuiamo ad assistere a massacri. Persino le Nazioni Unite non sono riuscite a emanare una risoluzione vincolante che obblighi Israele a fermare il genocidio, nonostante Israele abbia ucciso più di 55.000 persone a Gaza dall’ottobre 2023.

È tutto lì, visibile al mondo, senza filtri. I bombardamenti. I cadaveri. La fame. Gli sfollamenti.

Attivisti e giornalisti rischiano la vita per documentare ogni orrore. I nostri amici e sostenitori fuori Gaza non hanno più bisogno di intermediari. Quello che sta succedendo qui è dolorosamente evidente. Lo si può vedere in ogni dettaglio in TV, sui giornali e sui feed degli attivisti che trasmettono tutto in diretta sui loro social media.

L’accesso alla conoscenza non è più un ostacolo ed è il primo passo verso la comprensione e l’adozione di azioni concrete sul campo.

Ripensando all’importanza delle proteste di massa nel porre fine a guerre come quella del Vietnam e l’apartheid in Sudafrica, dobbiamo chiederci: l’attuale livello di mobilitazione globale è sufficiente a fermare il genocidio a Gaza?

I movimenti universitari negli Stati Uniti hanno avuto un ruolo determinante nel costruire l’opposizione alla guerra del Vietnam e nel porre fine all’apartheid in Sudafrica e, ancora una volta, stanno giocando un ruolo chiave nel interrompere la normale attività durante il genocidio a Gaza. Al contrario, non c’è stato praticamente alcun movimento nelle università del mondo arabo che abbia esercitato una pressione efficace sui politici affinché cessino la loro complicità nella distruzione di Gaza.

Le persone di coscienza in tutto il mondo si sono sollevate con un’intensità all’altezza della portata del genocidio di Gaza?

Vero cambiamento

La nave Madleen è un esempio lampante di un’azione coraggiosa e di grande impatto. Alcuni potrebbero dire che Greta e i suoi compagni non siano riusciti a raggiungere Gaza, a rompere il blocco o a consegnare aiuti. È vero, ma azioni così eccezionali e coraggiose, in cui i partecipanti mettono consapevolmente a rischio la propria vita, se combinate con altri sforzi creativi e cumulativi, possono in definitiva portare a un vero cambiamento sul campo.

Ci sono centinaia di migliaia, se non milioni, di sostenitori della Palestina in tutto il mondo. Allora perché non ci sono molti gruppi diretti a Gaza contemporaneamente per rompere l’assedio che ci soffoca da oltre un anno e mezzo? Immaginate mille navi, non una. Immaginate mille Madleen.

In questo momento c’è un movimento che si sta dirigendo dal Nord Africa verso Gaza. Perché non ci sono più mobilitazioni di massa che marciano verso i confini di Gaza, chiedendo l’ingresso per consegnare aiuti che tutte le leggi e le convenzioni internazionali hanno già approvato?

Bisogna smettere di chiedere “Cosa possiamo fare per Gaza?” – è una domanda che implica che tutte le azioni possibili siano state esaurite, giustificando così implicitamente l’inazione. Bisogna invece continuare a costruire su quanto è già stato fatto, sfruttando tutte le leve possibili affinché questi sforzi congiunti possano contribuire a porre fine al genocidio in corso a Gaza.

Bisogna agire. Individualmente. Collettivamente. Creativamente.

Bisogna trovare nuove strategie e nuovi punti di pressione. L’obiettivo è chiaro: fermare il genocidio.

Questo è un messaggio dal cuore della Gaza ferita e addolorata. Scrivo queste parole da affamato, mentre i bombardamenti intorno a me non cessano. Chiedo a ogni persona libera del mondo di muoversi ora.

Alzatevi con i vostri colleghi e amici e iniziate a fare qualcosa – qualsiasi cosa – sul campo. Non chiedete a me cosa potete fare per Gaza. Questa è la domanda a cui dovete rispondere voi, con urgenza.

Ne sapete già abbastanza.

Non resta che agire.

Il tempo è fatto di sangue.

Fate qualcosa, adesso.

Asem Alnabih è un ingegnere e ricercatore con dottorato di ricerca, attualmente residente a Gaza City. È portavoce del Comune di Gaza e ha scritto per numerose piattaforme, sia in arabo che in inglese.

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