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La punta dell’iceberg: Israele non può insabbiare gli orribili abusi dei suoi soldati contro i Palestinesi

di Hagai El-Ad

6 agosto 2024

Non è facile commettere crimini e farla franca. Richiede competenza giuridica e un certo grado di sofisticatezza, soprattutto quando ci si deve allo stesso tempo confrontare con l’opinione pubblica, sia locale che internazionale.

E no, non sto parlando dei riservisti sospettati di aver violentato un detenuto palestinese nella base militare di Sde Teiman. Sto parlando dello Stato di Israele e dei suoi sofisticati meccanismi di insabbiamento. Questi meccanismi hanno servito lealmente il sistema israeliano per generazioni, ma sembra che abbiano alfine raggiunto la loro data di scadenza e stiano crollando sotto il peso delle contraddizioni interne che finora erano riusciti a contenere.

Per decenni, il sistema israeliano ha perfezionato la sua capacità di usare violenza brutale contro i palestinesi senza dover pagare alcun prezzo. Si tratta di una questione cruciale. È impossibile opprimere milioni di persone per decenni senza ricorrere alla violenza su scala spaventosa. Ma è anche impossibile continuare a processare coloro che utilizzano tale violenza, perché nessuno accetterebbe di usare la forza se poi venisse denunciato come criminale.

Allora come fai? Ti impegni in un tipico bluff israeliano, ma  sofisticato.

Il modus operandi che finora ha funzionato così bene è il bluff. Si ricevono masse di denunce da chiunque si prenda la briga di denunciare. Palestinesi, organizzazioni per i diritti umani, agenzie delle Nazioni Unite – prego, denunciate pure. Le procedure burocratiche vengono aperte, burocratiche, ma non si indaga seriamente su nulla.

Ogni incidente viene trattato come se fosse al massimo una violazione commessa dai ranghi inferiori. Il sistema in sè e gli alti ranghi non vengono mai indagati, e comunque l’intera inchiesta procede molto lentamente, si trascina così a lungo che nel frattempo tutti se ne dimenticano. L’attenzione si sposta e gli anni passano. E a quel punto, chi si preoccuperà più di qualche adolescente palestinese ucciso da dei soldati che gli hanno sparato alla schiena, da qualche parte vicino alla barriera di separazione, molti anni fa? Ma comunque noi possiamo sempre dire: “Abbiamo indagato”.

Un pezzo di questo sistema è che una volta ogni qualche anno qualche persona di basso rango viene incriminata e se ne fa un grosso caso. Un’incriminazione del genere avviene quasi sempre quando emergono riprese video o prove forensi incontrovertibili: a quel punto, cosa puoi fare d’altro? Quindi, parte lo scandalo. Si accende l’attenzione internazionale. Shock!

Pensiamo all’ufficiale della polizia di frontiera Ben Dery a Beitunia nel 2014 [che uccise deliberatamente un adolescente palestinese disarmato e che non costituiva alcun pericolo, ndt] o al sergente Elor Azaria a Hebron nel 2016 [che uccise un palestinese ferito, supino e immobile, ndt]. In entrambi i casi c’erano prove video inequivocabili, quindi non c’era altra scelta se non quella di processarli.

Entrambi hanno ucciso un palestinese. Entrambi sono stati condannati. Ma entrambi sono stati meno di un anno in prigione [Ben Dery fu condannato a nove mesi di reclusione, mentre Elor Azaria fu condannato a 18 mesi ma la pena fu poi ridotta di un terzo].

Le condanne erano ovviamente ridicole, ma erano utili. Guardate, abbiamo indagato; abbiamo preso provvedimenti. Ora possiamo tranquillamente chiudere tutti gli altri casi. È così che Israele è riuscito a mantenere la sua immagine di paese basato sulla legalità, neutralizzando allo stesso tempo il rischio di processi internazionali.

È proprio per riproporre questo metodo che l’intero establishment politico, militare e giudiziario di Israele si sta preparando, ripetendo il sacro e dolce mantra: “Le indagini proteggono i soldati”. Pensate a quante volte avete sentito questa frase ottusa negli ultimi mesi: dal primo ministro e dal capo dell’opposizione, dall’attuale capo di gabinetto e da capi precedenti, da avvocati ed ex- giudici. E lo scopo è stato affermato esplicitamente, affinché non venga frainteso: se “investighiamo” qui, allora gli antisemiti dell’Aja non indagheranno lì. Quindi è meglio “indagare” su questa cosa – dicono, facendo l’occhiolino. Capito?

E nonostante la sfacciataggine di questo bluff israeliano, bisogna ammettere che non ha funzionato affatto male. Pensate, da un lato, a tutti i cadaveri, a tutte le torture, a tutte le devastazioni e a tutti gli altri crimini. Poi, pensate al numero di israeliani che finora sono stati processati all’estero. Decine di migliaia da una parte, zero dall’altra. Il metodo funziona.

Ma ora ha smesso di funzionare, sia sul piano interno che a livello internazionale. A livello locale, il costo politico delle indagini e dello sporadico processo è diventato troppo alto, perché l’opinione pubblica non tollera neanche questo magro e decrepito paravento. Così come la legge sullo stato-nazione e altri fenomeni simili, l’attuale “bon ton” politico è la supremazia ebraica dall’alto dei cieli. È una supremazia che adesso si rifiuta di accettare anche queste dimostrazioni fasulle di assunzione di responsabilità per le uccisioni o gli abusi sui palestinesi.
Anche in ambito internazionale il bluff ha gradualmente smesso di funzionare. Dopo anni di ripetute segnalazioni da parte di organizzazioni per i diritti umani, è diventato sempre più difficile negare ciò che sta realmente accadendo qui – anche se tali segnalazioni non sono bastate. Alla fine, però, i cambiamenti nell’opinione pubblica internazionale, il fatto che Israele non si preoccupi più di mantenere le apparenze, la portata e la durata delle violenze – tutti fattori interconnessi – si sono combinati per rendere reale il rischio del tribunale internazionale dell’Aja. Questo rischio ha a sua volta diminuito la volontà politica di Israele di portare avanti la farsa delle “investigazioni”.

In fondo, a questo punto, a cosa serve questa messinscena? Nonostante tutto lo spettacolo messo in piedi dall’Alta Corte di Giustizia, dal procuratore generale, dal procuratore dello stato, dalle denunce e dalle montagne di pratiche burocratiche – persino dai rari processi – è probabile che L’Aia emetterà comunque dei mandati di arresto. Se è così, allora si tratta di “una prova che confuta l’affermazione secondo cui la nostra magistratura è il nostro scudo contro i tribunali stranieri”, come ha spiegato Simcha Rothman.

Rothman, il presidente della Commissione Costituzione, Legge e Giustizia della Knesset, ci ricorda così che in questo contesto l’unica funzione evidente del sistema legale è di tipo strumentale.

Il che ci porta a Sde Teiman – e all’Aia. Alcune componenti dell’establishment israeliano stanno ancora cercando di lavorare utilizzando il vecchio “codice di attivazione”. Lo fanno in modo esitante, per debolezza, come se fossero costretti, per paura sia della folla che dello stesso primo ministro. Il primo ministro e i suoi stanno invece già operando dall’alto, utilizzando il nuovo codice di attivazione. Ma coloro che si attengono al vecchio codice non lo fanno per servire la giustizia o perché è la cosa giusta e moralmente necessaria da fare. Anche di fronte agli atti più orribili, il loro obiettivo era e resta strumentale. Come si è affrettato a spiegare il capo di stato maggiore dell’IDF, Herzi Halevi, “queste indagini proteggono i nostri soldati in Israele e all’estero e aiutano a proteggere i valori dell’IDF”. Dopo aver ascoltato questa settimana tutti i politici e gli ufficiali dell’esercito, si potrebbe concludere che l’unica cosa terribile accaduta, sempre che sia terribile, sono stati i civili che hanno fatto irruzione a Sde Teiman e hanno ostacolato la capacità dei militari di “investigare”. Nessuno sembra preoccupato, Dio non voglia, delle atrocità inflitte dai soldati contro i detenuti sotto la loro custodia.

L’indagine esplosa questa settimana è solo la punta dell’iceberg. Ulteriori indagini sono in arrivo, e non solo per figure di piccolo calibro. Stavolta si preparano vere e proprie inchieste all’estero per figure di altissimo rango. Perché le domande su Sde Teiman non potranno fare a meno di salire su fino al Procuratore Generale Militare.

E le domande sulla politica dell’uso della forza militare a Gaza, con le sue decine di migliaia di morti, non verranno rivolte a dei sergenti. E non abbiamo ancora detto nulla sulla politica israeliana in Cisgiordania, che è zeppa di crimini di guerra – crimini che sono, essenzialmente, crimini politici, il risultato di decisioni prese da un’amministrazione dopo l’altra. Arriveranno mandati di arresto internazionali, e non prenderanno certo di mira i funzionari di grado inferiore del Ministero dell’Edilizia.

Queste forze che si intersecano sono il risultato dell’incrocio tra il sistema di governo israeliano – pura ed evidente supremazia ebraica – e la realtà. È la realtà di uno Stato non basato sul diritto che non può evitare i rischi legali internazionali. Il vecchio codice di attivazione è scaduto. Mantenerlo in uso non è il modo per riparare ciò che è rotto.