Categorie
Israele

Il calvario di un paramedico palestinese durante la detenzione israeliana

Pubblicato su hrw.org il 26 agosto 24, un articolo di Milena Ansari. Qui l’articolo originale
L’incubo di Walid Khalili è iniziato la mattina del 10 novembre 2023. Il 36enne, padre di tre figli, paramedico e autista di ambulanza della Società Palestinese di Soccorso Medico, era stato inviato nel quartiere Tel al-Hawa di Gaza City per soccorrere quattro uomini feriti.
Quando la sua ambulanza arriva sul posto, a venti metri dal palazzo del Ministero del Lavoro in Mughrabi Street, vede quattro uomini circondati dalle forze israeliane.

Ho visto i quattro uomini venire giustiziati a sangue freddo”, ha detto Khalili. “L’ho visto con i miei occhi, ero a tre metri di distanza. Quando hanno sparato, mi sono nascosto sotto l’ambulanza, accanto c’era un edificio e sono corso all’interno. Le forze israeliane hanno fatto irruzione nell’edificio e hanno iniziato a urlarmi di alzare le mani”.
I soldati l’hanno preso a calci e picchiato con il calcio dei fucili, rompendogli le costole.
Human Rights Watch non ha potuto verificare in modo indipendente il resoconto di Khalili sugli omicidi. Ma le sue vicissitudini successive – inclusa la deportazione da Gaza in strutture di detenzione in Israele, la tortura e la negazione di cure mediche – sono coerenti con gli abusi nella detenzione israeliana descritti da altri sette operatori sanitari che abbiamo intervistato. Il suo resoconto è anche coerente con i rapporti di altri gruppi per i diritti umani, dell’Ufficio per i diritti umani delle Nazioni Unite e di vari giornalisti.
I soldati hanno costretto Khalili a spogliarsi nudo in pubblico, gli hanno legato le mani dietro la schiena e dopo averlo bendato e lo hanno portato in un altro luogo. “Continuavano a dirmi: ‘Dì che sei di Hamas’”, ha raccontato, ricordando il freddo pungente di novembre.
I soldati 
poi lo  hanno messo in un veicolo militare scoperto, lo hanno colpito e portato in un’area aperta, dove viene costretto a giacere a faccia in giù su un terreno sabbioso. I soldati spingevano ripetutamente la sua faccia nella sabbia con gli stivali minacciando di ucciderlo, racconta Khalili.
Un soldato gli ha puntato la canna di un fucile d’assalto alla testa, un altro lo ha cosparso di benzina, minacciando di dargli fuoco, e altri guidavano rapidamente un veicolo militare verso di lui come per investirlo – una tattica che anche un altro ex detenuto ci ha descritto in un’occasione separata – apparentemente per terrorizzarlo e spingerlo a confessare di essere un membro di Hamas.
I soldati israeliani hanno trasferito poi Khalili alla base militare di Sde Teiman nel sud di Israele, a nord-ovest della città di Beer Sheva, a circa 30 chilometri da Gaza. Racconta che nel centro di detenzione i soldati israeliani lo trascinavano a terra, gli toglievano le manette alle caviglie e gli mettevano un pannolino per adulti.
Tolta la benda ha capito che si trovava in un grande edificio “come un magazzino”, con catene appese al soffitto. Decine di detenuti, anche loro con i pannolini, erano sospesi al soffitto, con le catene attaccate alle manette quadrate di metallo.
Racconta che il personale della struttura l‘ha appeso a una catena, in modo che i suoi piedi non toccassero terra, lo hanno veste con un indumento e una bandana a cui erano attaccati dei cavi per impartirgli scosse elettriche.
Dice:
<<Il mondo girava e io sono svenuto. Mi hanno colpito con i manganelli. Continuavo a svenire e ad avere allucinazioni. Hanno continuato a chiedermi degli ostaggi, del trasferimento degli ostaggi di Hamas e di dove fossi il 7 ottobre. Ad ogni domanda mi svegliavano con l’elettroshock. Mi hanno detto confessa e smetteremo di torturarti.>>
Khalili ha detto che gli venivano impartite scosse elettriche ogni due giorni, oltre ad essere sospeso in posizioni di stress e ad essere inzuppato con getti di acqua fredda.
Racconta che a intervalli di tre giorni veniva prelevato dal “magazzino” per essere interrogato. Prima di ogni interrogatorio, un soldato gli somministrava una pillola di un farmaco sconosciuto.
La pillola mi ha fatto sentire strano, era la prima volta che mi sentivo così, come se la mia mente interiore parlasse di ciò che avevo nel cuore, non di me. Mi sentivo come se stessi volando. Ho avuto allucinazioni.
Un funzionario israeliano che, secondo Khalili, parlava un arabo fluente e senza accento, lo ha interrogato, concentrandosi sugli ostaggi portati a Gaza. Il funzionario “mi ha detto quanti figli ho, tutti i loro nomi, il mio indirizzo”, ha detto Khalili, e ha minacciato che sarebbero stati uccisi se non avesse confessato.
Visible marks on Walid Khalili’s wrists from prolonged hand cuffing with zip ties and metal cuffs. Khalili said these scars are from Israeli soldiers suspending him from a chain connected to cuffs on his hand as well as dragging him by the hands on the ground. Photo taken around April 8, 2024, after Khalili’s release from Israeli detention.
Segni visibili sui polsi di Walid Khalili dovuti  all’ammanettamento prolungato con fascette e manette in metallo. Khalili ha detto che queste cicatrici sono state causate dai soldati israeliani che lo hanno sospeso a una catena collegata alle manette sulla sua mano e lo hanno trascinato per le mani a terra. Foto scattata l’8 aprile, oltre tre mesi dopo il rilascio.
 
Nonostante le sue costole rotte, Khalili ha detto di non aver ricevuto cure mediche a Sde Teiman. A un altro detenuto “è stata amputata la gamba”, apparentemente a causa di un prolungato incatenamento e dell’esposizione al freddo. Ha detto di aver visto un detenuto nel “magazzino” avere quello che crede fosse un arresto cardiaco; poco dopo un soldato ha portato dentro un operatore sanitario israeliano che ha confermato che il detenuto era morto. Le forze israeliane hanno poi portato il cadavere di un altro detenuto nel magazzino, ha detto Khalili. La preghiera era proibita.
Dopo 20 giorni, le forze israeliane hanno trasferito Khalili, da solo, su una sedia a rotelle, incapace di stare in piedi, da Sde Teiman a una struttura di detenzione da lui chiamata prigione “al-Naqab”. È stato ammanettato e bendato e ha detto che i soldati lo hanno minacciato di stupro mentre veniva trasportato. All’arrivo ad al-Naqab, i funzionari della struttura “hanno preso le mie impronte digitali e mi hanno dato un numero” per identificarlo. Dopo alcuni giorni gli hanno dato dei vestiti. A un altro detenuto, incaricato di fungere da traduttore e intermediario da parte delle guardie israeliane, è stato permesso di portargli del cibo. È stato interrogato altre tre volte ma non è stato torturato fisicamente.
Anche gli altri detenuti di al-Naqab erano malati e feriti, e un uomo che “sanguinava visibilmente dall’ano” è stato portato dentro e messo accanto a Khalili. L’uomo ha detto a Khalili che prima di essere messo in detenzione, “tre soldati si sono dati il cambio violentandolo con un M16 [fucile d’assalto]. Nessun altro lo sapeva, ma me lo ha detto in quanto paramedico. Era terrorizzato. La sua salute mentale era pessima, ha iniziato a parlare da solo”.
Ad al-Naqab sono stati somministrati a Khalili antidolorifici, antinfiammatori e antibiotici da banco, ma nessun altro aiuto medico, ha detto. Le luci intense nella struttura non venivano mai spente, rendendo difficile il sonno. I detenuti dormivano su sottili stuoie stese a terra, senza cuscini, ammanettati e bendati. La colazione era un pezzo di pane con formaggio, a pranzo tonno e pomodoro e un pezzo di pane con marmellata a cena, ha detto.
Dopo più di 30 giorni ad al-Naqab, ha detto Khalili, ha firmato i documenti di rilascio presso l’ufficio della procura e gli è stato restituito il documento d’identità palestinese, ma non il telefono e i contanti (l’equivalente di 1.250 dollari) che gli erano stati sottratti durante il suo arresto a Gaza. Quattro giorni dopo, verso la fine di dicembre 2023, è stato rilasciato senza accusa al valico di Kerem Shalom/Karam Abu Salem al confine con la Striscia di Gaza e l’Egitto. Al momento dell’arresto pesava 80kg e ora ne pesa 60.
Di ritorno a Gaza, la Mezzaluna Rossa ha fornito assistenza medica a Khalili e lo ha trasferito all’ospedale Abu Youssef al-Najjar a Rafah. L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha ottenuto il permesso di trasferirlo per cure in Egitto a maggio, ma le forze israeliane hanno chiuso il valico di frontiera di Rafah il 7 maggio.
L’ultima volta che siamo stati in contatto con lui, Khalili si trovava rifugiato nella zona di Mawasi vicino a Khan Yunis, ed era ancora in attesa di un possibile trasferimento in Egitto per cure mediche, separato dalla sua famiglia che si trova nel nord di Gaza. “Piango ogni giorno senza la mia famiglia”, ha detto. “Sono solo al sud, non ho nessuno. Giuro che non ho bisogno di altro che stare con la mia famiglia. Non ha ancora incontrato il figlio più giovane, nato a Gaza mentre era detenuto.
Perde ancora conoscenza, sente “qualcosa nella […] testa come un microonde, un suono forte” e gli vengono i crampi alle mani, ha detto Khalili. Trova difficile dormire a causa del dolore causato dalle costole rotte. Quando dorme, ha gli incubi.